Nasce a Gallipoli il 2 giugno del 1968 vive e lavora a Lecce

Raffaele Quida sviluppa la sua passione per l’arte terminata la maturità classica quando, dopo i primi esperimenti di arte figurativa, frequenta il centro di arte sperimentale Man Ray di Cagliari.

Risale infatti al 2001 “Compressioni”, una serie di dipinti appartenenti alla cultura informale dove macchie di colori si comprimono fra loro all’interno di uno spazio ideale. Si configura in queste opere la dialettica che rimarrà costante nel lavoro di Quida e che lo porterà alla sperimentazione di nuovi materiali, destinati a rendere l’idea dello spazio, dei suoi confini e del suo contenuto. Questi temi saranno affrontati per la prima volta in occasione del dialogo, nel 2010 presso la Temple University di Roma con il Futurista Mino Delle Site.

Accademia Belle Arti Palermo
Accademia Belle Arti Palermo
Le sue installazioni nascono da situazioni ambientali e trovano poi collocazione in ambiti destinati ad un pubblico più consapevole, dove l’ambiente stesso si trasforma in un luogo in cui porsi domande su ciò che è reale e ciò che è stato creato. Questo è quello che succede con il progetto “Continuum”, un ciclo di installazioni urbane e performance. Il concept attorno a cui ruota tutto il corpus è il corpo, dal momento del concepimento-nascita, ai coinvolgimenti relazionali e sociali.

Questa indagine viene attivata altresì attraverso l’immissione di oggetti incongrui ( oggetti industriali ) nel ritmo urbano a diretto contatto con la collettività e con gli spazi in cui essa quotidianamente vive, con le sue abitudini e le sue necessità, 2016 Piazza Del Ferrarese Bari a cura di Antonella Marino, 2017 presso un capannone industriale di Taranto a cura di Michela Casavola, 2016 nell’ Anfiteatro Romano di Lecce a cura di Lorenzo Madaro e nel 2017 all’ Ecomuseo Urbano MUMI ex Fornace Milano a cura di Alessia Locatelli.

Continuum Eco Museo MUMI Milano
Continuum Eco Museo MUMI Milano

Lavora con vari materiali compositi prevalentemente utilizzati nell’edilizia e spesso reperiti nei cantieri edili, ma anche elementi naturali che in un certo senso interagiscono con quei materiali e con le geometrie architettoniche: la luce, l’aria, l’ossido, l’acqua gli agenti atmosferici e prodotti industriali come alluminio, ferro zincato e vetro a celle utilizzati prevalentemente nell’edilizia. Si delimita così una architettura ufficiale dove sono presenti i temi dell’urbanistica e del luogo, riconfigurando quei materiali attraverso una propria percezione.

Dal 2010 a 2015 lavora su grandi fogli di carta fotosensibile collocati tra le mura non completamente realizzate nonché abbandonate di cantieri edili, presentate per la prima volta a Palermo in un dialogo con le opere di Luca Vitone a cura di Antonella Marino in occasione della mostra “Rizomata” ideata da Cosessantuno Arte Contemporanea. A prima vista semplici monocromi bianchi, ad uno sguardo più attento le opere rivelano le geometrie delle architetture impresse sui fogli dal taglio della luce che, infrangendosi sui pieni, fa intravedere gli spazi vuoti facendo depositare sulla superficie del foglio libera da impedimenti quella luce che ne determinerà il segno, lasciando che quel luogo si “autoritragga. Da quest’idea nasce la serie” Ritagliare gli spazi”. Nel 2019 “Immagine logica dei fatti”, presso Palazzo Mazzarino di Palermo a cura di Daniela Bigi, installa su pavimento una piattaforma di specchi, diventando un dispositivo di registrazione, come è stato per la serie Ritagliare gli spazi, lo stesso possiamo dire per gli specchi nel salone. Lo specchio riflette il suo intorno, e l’esperienza che si prova al suo cospetto è sempre per un verso una conoscenza dei fatti. 

Immagine logica dei fatti Palazzo Mazzarino Palermo

Nel 2014 presenta per la prima volta presso Palazzo Mongiò di Galatina, in un progetto con Tamara Repetto, una serie di carte del tempo a cura di Michela Casavola,  questo materiale diventa un mezzo per evidenziare il trascorrere del tempo. Con l’immersione di fogli di carta in un pigmento nero contenuto in cisterne di ferro Raffaele Quida marca e scandisce il tempo attraverso numeri che calcolano il periodo di immersione, e lo rende, quindi, visibile. 

Quida guarda all’insondabile, a dare forma sensibile alle ambigue e talvolta ignote dinamiche spazio-temporali. Il suo lavoro non vuole rappresentare il ricordo in sé ma il processo, in altre parole punta all’origine, a comprendere i meccanismi profondi che regolano l’esistenza, collettiva prima che individuale. Sue abituali coordinate sono da un lato la natura dell’uomo e dei suoi rapporti con l’ambiente, dall’altro la memoria degli individui e dei materiali, coordinate distinte ma complementari, l’una spaziale, l’altra temporale, l’una sincronica, l’altra diacronica.

Con “Geolocalizzazioni”, due cicli di opere installate negli spazi dell’Archivio Storico Comunale di Palermo a cura di Carmelo Cipriani, 2018, Quida reinterpreta i codici e gli schemi di rappresentazione del paesaggio ormai monotoni e standardizzati, un lavoro di scomposizione e unione di più carte topografiche, ricopiate poi su vecchi fogli attraverso l’uso di carta copiativa vede la nascita di nuovi centri urbani. Egli si esprime in opere in un continuo equilibrio perfetto tra rigore e caos, tempo umano e naturale, dinamiche speculative e flessioni spazio-temporali.

raffaelaQuida40

Nel 2021 Con la mostra “Perimetro del sensibile”, in dialogo con Giuseppe Spagnulo, ideata e curata da Giacomo Zaza presso gli spazi seicenteschi della Chiesa della Madonna del Carmine (1608-1610) del Museo Nazionale di Palazzo Lanfranchi di Matera, presenterà opere e materiali fotosensibili (come la carta termica) che ostentano superfici in divenire, dove si sedimentano segni monocromatici in lenta trasformazione, l’opera intitolata Antropologia sociale, dove s’intravedono delle impronte sulla carta fotosensibile, le stesse riproposte su una lastra di marmo accanto alla carta, mediante segni scavati e riempiti con la polvere di estrazione.
In questo caso Quida accosta due superfici, intese come due dimensioni: una stabile, dove permane la traccia del passaggio dell’uomo, l’altra in continuo divenire, in perenne relazione con la vita dello spazio che la ospita e ancora Luce da Nord, 2021, (Lastra di piombo, plexiglass) Due dimensioni, una stabile – una lastra di piombo – dove permane il passaggio dell’uomo, l’altra processuale – un plexiglass fissato sopra il piombo che lascia passare la luce.

 In fine la serie di opere 2010, dove associa due immagini, due aree a confronto: la prima corrisponde a una carta termica riscaldata nel 2010 con una fonte di calore, e in costante processo trasformativo in base alla temperatura esterna, la seconda a una foto che documenta l’immagine prodotta dal surriscaldamento, sorta di memoria di quel momento.
L’artista racconta in merito: “Gli esperimenti con carta termica sono composizioni intime che spesso ricordano paesaggi astronomici o dipinti di espressionisti astratti; creano delle astrazioni che si basano sul caso, celebrandone il processo con titoli che ricordano il momento della loro realizzazione: 2010 documentano, per mezzo della foto, l’obsolescenza, durante un preciso momento di elaborazione. La caratteristica chimica della carta è destinata a cambiare la propria intensità cromatica, diventando opera mai definita. Mentre la riproduzione fotografica, eseguita al termine di ogni lavoro, rappresenterà lo strumento attraverso cui registrare e fissare per sempre quello che il tempo non potrà modificare più”. Sempre nel 2021 sarà presente al progetto “ALTARS”, bipersonale con Luigi Presicce, negli spazi dell’ex chiesa di San Francesco della Scarpa di Lecce, a cura di Carmelo Cipriani e Antonio Grulli. Presenterà una serie di opere in cui la compresenza di concetti ed elementi contraddittori riesce a far emergere riflessioni sullo spazio e il tempo legati alla dimensione umana. Si tratta di sculture e installazioni come lo specchio posizionato su di un blocco di pietra lavica, in cui alcuni fori sembrano alludere a possibili varianti di “posizioni” da cui osservare il mondo intorno a noi;

oppure la lastra di granito, in grado di accendersi di oro, i cui bordi frastagliati evocano teorie filosofiche o matematiche sulla fragilità del tempo e dello spazio; il cielo blu su cui sembra aver lasciato un’ombra scura un sole ormai morto; la pietra che sembra sul punto di diventare testata d’angolo e che dentro di sé porta la memoria della propria geometria; o da ultimo due lastre quadrate sovrapposte, una cieca e una troppo trasparente e tanto aperta da diventare quasi invisibile”. il 7 ottobre 2022 con la mostra “Luce dei miei occhi”  curata da Daniela Bigi  presso la Galleria Anna Marra di Roma con opere di Francesco Arena e Luigi Presicc . Presenterà una serie di cicli                                                                                                                                                                                                                                                                                      , 

 “Antropologia sociale” Lavori su carta fotosensibile, che reagisce alla luce del sole e al contatto dell’artista, colorandosi e svelando il tocco umano attraverso spontanei e quindi non precostituiti gesti e azioni del corpo. dimostrando la stretta relazione esistente tra corpo, oggetto, spazio e tempo. Ci si trova di fronte a tavole che fanno intravedere il passaggio dell’uomo interrotte, nella loro monocromia, dal tocco dell’artista, oltre che dall’esposizione alla luce. Non vi è un racconto definito alla base, una storia da svelare, ma il risultato finale, le conseguenze del rapporto tra  le cose. Si gioca sul “non detto”: non  si vedono determinati gesti; non si mostrano le cause di tutto. Ci si limita a svelare ciò che accade, i risultati pratici di ogni suo intervento, l’elemento umano che vi resta impresso. In questa serie di opere, viene nascosta la presenza dell’uomo puntando la luce esclusivamente sulle impronte che questo passaggio lascia dietro di sé. I segni lasciati su questi fogli, attraverso un processo artistico di disegno, ricalco e di scansione, verranno successivamente riproposte su lastre dure di ardesia, questi segni scavati saranno poi riempiti con la stessa polvere di estrazione. Scopo ultimo è quello di comprendere in modo concreto il passaggio umano sulla superficie e il processo creativo e quindi la relazione tra l’uomo, in questo caso l’artista, e le cose circostanti, nello spazio. Torna, anche qui, il tema del “non detto”. Si mostrano le impronte e ciò che è avvenuto ma non si manifesta ciò che genera il tutto.  “Superficie” Fogli di archivio per la classificazione dei terreni agricoli sono stati colorati con il ramato, un prodotto usato in agraria, in questo modo la fallace obiettività di ogni tentativo di catalogazione (Alighiero Boetti insegna) si trova a fare i conti con l’arbitrarietà soggettività dello sguardo. La sua restituzione casuale concorre a scompaginare le carte e amplificare i piani di fruizione. In linea con quanto suggeriva il grande fotografo francese Robert Doisneau: “Suggerire è creare. Descrivere è distruggere”. “Luce da EST luce da OVEST”  (Lastre di piombo e plexiglass) Due dimensioni, una stabile, la lastra di piombo, cieca, sorda, metallica e ottusa,  l’ altra processuale, il plexiglass con la sua trasparenza  che lascia passare la luce naturale riflessa, una luce uniforme che proviene da da EST e da OVEST .

 

Simili a trasmutazioni alchemiche, le sue opere, pur nella profonda diversità concettuale e costitutiva, rinviano ad un piano unificante del lavoro dell’artista, ad una trama di significati aperti a un continuo flusso d’idee. Indipendentemente dalla natura con cui si manifestano, pittorica, scultorea o installativa, le sue creazioni sono le proiezioni di una vita condivisa, tracce sensibili di un passaggio continuo e partecipato, regolato dal tempo e dallo spazio che l’uomo, spesso invano, tenta di comprendere e manipolare”.